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Fanatici dell’oikos

Ricevo e pubblico questa bella recensione di un disco dalle inaspettate nuances individualiste. Inaspettate per un panorama musicale come quello nostrano ancora incrostato di stereotipi nazional-popolari da “festival della canzone italiana”, e per un genere come l’hip-hop he quando ha provato a smarcarsi dallo sterile edonismo e dal nichilismo che da sempre lo affliggono, come con i Tribe Called Quest, gli Arrested Developement o il francese Mc Solaar, ha finito invariabilmente per abbracciare le istanze altermondiste, collettiviste e multiculturaliste del peggior progressismo.

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di Orso

È bizzarro rendersi conto di trovare, in questa generazione decadente, un flebile raggio di speranza in due artisti rap. Soprattutto per chi scrive, che ha sempre visto nel rap il segmento deteriore della musica moderna, fatta di falsi profeti, vanterie, orgoglio nigga e tamarro a seconda dei casi. Sarà perché gli Uochi Toki, duo alessandrino, rap vero e proprio non ne fanno. Piuttosto si tratta di parole in libertà, in senso «futurista», accompagnate da basi scelte con attenzione all’estetica noise.
I pregi degli UT non sono solo musicali; più di tutti a sorprendere sono i testi, intelligenti, accuratissimi, scritti (non improvvisati), e animati soprattutto da una vena individualistica che fa di Napo (al secolo Matteo Palma, l’autore del duo) l’erede naturale di Thoreau. Come l’autore del Walden, l’ex «Laze Biose» ama i boschi, e vagando tra gli alberi traggono l’ispirazione per i suoi testi, a confermare l’indissolubile legame tra le selve e il disprezzo per le astrazioni collettiviste. «Il cinico», pezzo che apre il loro ultimo disco, «Libro Audio» è un interessante manifesto:
«Il fatto che io non abiti in città non vuol dire che sottointendo che la mia scelta diventi un esempio, una necessità per gli altri. Per farti un esempio, sappi che io ho la necessità di vedere il cielo intero, di sentire tutte quante le direzioni del vento, di poter aprire la porta e raggiungere un bosco di notte quelle poche volte in cui faccio fatica a prender sonno. Ho bisogno di vedere i flussi di acqua corrente, di ricordarmi che sono piccolo così anche i miei problemi sono piccoli e risolvibili, così non devo lanciare a tutti i costi lanciare accuse a me o ad altri, perdere tempi con le colpe o i meriti».
Troppo New Age? Allora sentite cosa Napo riesce a dire nel più politico «I Mangiatori di Patate» in cui racconta gli espedienti e le ristrettezze a cui la crisi economica ci ha abituati. Si comincia con una stoccatina ai fattoni, personaggi ben noti a chi frequenta le stazioni del Nord Italia:
»Quando vedo in stazione un ragazzo col suo cane, mi verrebbe da interpellarlo, da dirgli: “No ma scusa ti stai sbagliando, con quello che spendi in droga ci paghi l’affitto, ci fai una spesa al supermercato, anzi tre o quattro”, anche se di solito sono io quello che viene interpellato perché vesto un po’ meno sbrindellato e mi si chiede una moneta per un biglietto del treno che era stato calcolato. “Ti sei messo in viaggio senza sapere se disponevi dei soldi per tornare, ma sapendo che saresti tornato? Saresti un genio, ma il tuo è un ripiego collaudato”. Siete in migliaia, non in quattro. Se chiedere elemosine fosse un metodo funzionale, ci sarebbero meno morti di fame che morti di spade – anzi, scusate – di bottigliette di plastica bruciacchiate, che fanno meno male. Io e il mio compare ci spariamo in vena le teorie keynesiane, inaliamo la disperazione del crack del ‘29.»
Probabilmente involontario, anche l’accostamento droga – Keynes mi piace parecchio.
Il declamatore, dunque, dichiara di aver ben chiaro ciò che è davvero importante nella vita:
«Riesco a capire quello che conta veramente: case, rapporti, disegni, economia, contante»
D’altronde che altro ci si deve aspettare da due che si definiscono: «Fanatici dell’oikos» in quanto si divertono ad abitare: «Stare in casa è qualcosa di spettacolare. A quelli che mi ostracizzano dalle case auguro una morte innaturale perché io amo le case.»
La weltanschauung anarco-individualista, emerge ancora più chiaramente in «Il Nonno, il Bisnonno», che personalmente ritengo un piccolo capolavoro. La storia attraversa tre generazioni: la prima è quella dell’attivista anarchico Cesare (il bisnonno), che prima diserta la guerra procurandosi una ferita sparandosi su una gamba poi, scoperto, accetta il salvacondotto offertogli da un prete: sposarsi e battezzare i suoi quattro figli, anche se questo va contro i suoi principi. Napo trae la seguente lezione:
« uno – quando c’è da pensare alle persone Che Guevara va nel cestino; due – il fucile rivolto contro sé stessi può portare a vivere meglio» (NB: la frase ha letteralmente sconvolto il pubblico di indie-rockers, notoriamente sinistri ortodossi). C’è poi la storia del nonno, Ennio, che pur di suonare entra nelle fila del gruppo universitario fascista, rischiando di incorrere nell’ira di sua padre.
«Cosa imparo questa volta? Niente è più importante di quel che voglio fare, che ci sia la guerra di mezzo, il giudizio di mio padre o di un uomo comune, di un opinionista, lavoratore, pendolare, centro sociale. Adesso parlami di saggezza e politica di alte sfere o popolare, raccontami quello che hai letto nei libri: vedrai che a me vengono i brividi perché posseggo desideri ibridi».
Il pezzo che segue, «Il Ballerino», è apprezzabile solo per il concept: un j’accuse al mondo del calcio, passatempo mainstream, degli adolescenti, ancora una volta un grido contro l’omologazione, un inno alla libertà nel quotidiano.
Che gli Uochi Toki condividano «i semi del verbo» agorista lo si evince anche da una lunghissima intervista riportata nel sito specializzato OndaRock:
D: E quando però ve le chiedono, le opinioni politiche, voi che dite?
Napo.: Io annullo la scheda.
D: Ma così ti salvi sempre!
N.: No, no. Io dico esattamente quello che faccio. Quando poi mi dicono che bisogna dare il voto al meno peggio, e io dico “Sei un cretino perché non è esprimere una preferenza”.
Rico (autore delle basi, ndr): È una pistola puntata alla tempia, scegliere il meno peggio.
N.: Anche qui prevale la questione del “si è sempre fatto così e allora va fatto così”. Votare è un diritto eccetera eccetera, però tutte le cose che sono state messe sopra al votare non vengono neanche tenute in considerazione. Quindi per me votare non è esprimere un diritto o una preferenza. Quando bisogna scegliere tra quello che c’è, io di solito cerco dei modi di fare in modo diverso.

Ma, più autarchicamente, Nuovo Ordine Mondiale.
Il progetto della moneta globale, obiettivo da raggiungere entro il 2015, infatti, parla italiano.

Rai.TV – TG1 – TG1 ed. 13.30 27.07 moneta globale, un progetto italiano

Nella speranza che anche il più scettico critico del cospirazionismo inizi ad aprire gli occhi.

“Datemi il controllo sul denaro di una nazione e non mi preoccuperò di chi ne fa le leggi”
— M.A. Rothschild

(Notizia segnalata da Luca F. su Snow Crash).

Daily dose of reality

Reality Chec_qjpreviewthOggi ho fatto due incontri interessanti, il primo, un albergatore, ex dipendente di Poste Italiane, il quale nel 2005, licenziatosi dalla società, ha riconsegnato il tesserino di promotore finanziario perché “ormai mi vergognavo per le truffe rifilate alla gente”.
Nel pomeriggio, l’ex direttore marketing di un grosso gruppo italiano della grande distribuzione organizzata che invece ha lasciato la professione in quanto “disgustato da un marketing che tende sempre più alla sociologia disumanizzante delle multinazionali”.
Quest’ultimo, ad un certo punto della conversazione, ha aggiunto: “non si può negare l’evidenza”.
Ho pensato: “Vero, però neanche la si deve accettare a scatola chiusa. Molte delle cose che la maggior parte delle persone danno per scontate, nella realtà non sono affatto evidenti, ma solo il frutto di cattive informazioni, pigrizia, conformismo”.

Siamo una società ultra informata, ma moriremo di ignoranza, come direbbe Rubén Blades.

Stavolta le fonti non sono bizzarri urlatori nel megafono, ma più banalmente la Libera Enciclopedia. Ognuno tragga le proprie conclusioni. 1, 2, 3.

copywrongCosì almeno ripete l’MPAA all’infinito. Tranne che non sia uno dei suoi membri a farlo. In quel caso, non è un crimine, bensì la reinterpretazione creativa di un contratto:

J.R.R. Tolkien vendette i diritti per la realizzazione di un film del suo “Il Signore degli anelli” quarant’anni fa per il 7,5% dei futuri ricavi. Tre film e sei miliardi di dollari dopo, i suoi eredi non hanno visto un centesimo dalla Time Warner Inc.

…In base al contratto, New Line doveva pagare una percentuale su tutte le entrate lorde, dopo aver dedotto 2,6 volte i costi di produzione, più le spese per la promozione eccedenti un certo importo, secondo Eskenazi.

Gli eredi, tra cui i figli di Tolkien Christopher e Priscilla, sostengono che New Line abbia gonfiato le spese ed escluso le entrate dai suoi calcoli, il che significa che la famiglia “non vedrà mai riconosciuto ciò che le spetta”, stando alla denuncia. Inoltre, sostengono sempre i successori, la New Line avrebbe consentito che alcuni documenti venissero distrutti.

Quindi, la prossima volta che sentite uno di questi autonominati campioni della difesa del copyright dichiarare che c’è bisogno di leggi più severe – e la prossima volta che vedete la loro propaganda fare i loro interessi prima di un film che avete pagato per guardare – ricordate esattamente quanto lontano si estende il loro sostegno alla proprietà intellettuale ed al riconoscimento per le opere creative. Non un millimetro più in là dei loro portafogli.

Via WendyMcElroy.com

Vademecum

PJ-AN060_pjTAXR_20080819173855Elaborate dal pool legale della LIFE e tratte da varie leggi e riprese anche dal recente libro di Leonardo Facco.

Via PIR

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Le 20 regole auree quando si ha a che fare con le Fiamme Gialle

1. Richiedere il tesserino. Loro lo esibiscono e se lo tengono in mano. Voi ricopiate i dati su un foglio.

2. Nel caso si rifiutino, chiamate subito, sempre senza aprire, il 112, denunciando che ci sono delle persone che vogliono entrare e, poiché rifiutano di identificarsi, voi pensate che siano dei truffatori.

3. Richiedere carta o foglio di servizio. Fotocopiatelo. È questo il documento basilare di tutte le ispezioni. Essi devono attenersi esclusivamente a quanto indicato sul foglio.

4. Spulciare la lista dei nomi scritta sul foglio di servizio.

5. Col foglio di servizio in mano, telefonate all’Ente che li ha inviati e chiedete che i nomi vengano confermati uno per uno.

6. Chiamare subito almeno due testimoni. I testimoni non devono mai parlare. Muti come pesci seguono da vicino i controllori.

7. Avere sempre una macchina fotografica o una telecamera. Non possono toccarvela: lo strumento di prova non può essere pignorato.

8. Se avete da fare, sia voi che i vostri dipendenti continuate a fare. Se ve lo impediscono potete sempre denunciarli per “turbativa di lavoro”.

9. Non mettete a loro disposizione scrivanie o sedie. Che se le portino o che stiano in piedi: li aiuta a crescere.

10. Non permettete loro di usare il vostro telefono o fax.

11. Non siate gentili: non serve a niente!

12. Devono attenersi esclusivamente a quanto scritto sul loro foglio di servizio.

13. Non possono rovistare fra la vostra biancheria o altri effetti personali e neppure fra quei documenti che non sono attinenti al controllo. Le vostre agende private non dategliele. A meno che ciò non sia espressamente previsto nel loro foglio di servizio.

14. Non firmate mai alcun verbale.

15. Possono ispezionarvi soltanto durante l’orario di lavoro.

16. Non possono stare tra i piedi per più di trenta giorni lavorativi.

17. Il magazzino se lo spostino loro. Non prestategli operai o muletti. Se ci sono ragnatele o topi, che si arrangino.

18. Mentre loro fanno, scrivete un vostro verbale con l’indicazione esatta dell’ora e del minuto di ogni operazione.

19. Non prendete paura perché sono solo uomini.

20. State rilassati, non succede niente: adesso cominciate a divertirvi.

Via dalla schiavitù

washington-booker-tNon so se altri feticisti oltre a me hanno seguito la discussione su TakiMag, uno dei periodici di riferimento del pensiero paleo-libertario, incentrata sul tema del razzismo.

Semplificando drasticamente, Jared Taylor sostiene che il fattore razziale sia determinante nella creazione di una società volontaria, mentre i migliori paleo, come Justin Raimondo (oltre all’amico Orso che in una conversazione privata opporunamente me lo fatto notare – e che comunque rientra nella categoria), hanno ricordato come, al contrario, nella società volontaria il problema razza sia già stato abbondantemente superato, e quindi da ritenere fondamentalmente ininfluente.

In effetti, seguendo il ragionamento di Taylor, io dovrei sentirmi più affine all’Average Joe wasp dell’Arkansas che sconosce totalmente le caratteristiche del posto in cui vivo, anziché all’immigrato del Mali che vive qui da trent’anni, lavora e affronta le questioni che la comunità di cui bene o male fa parte, mano a mano gli presenta. Il discorso, ovviamente, non fila.

Così, anche per mitigare il clima inquietante dei post recenti, ho pensato di tradurre questo breve articolo di Gary Galles, in cui racconta la vicenda di Booker T. Washington, ex schiavo americano divenuto imprenditore ed educatore di chiara connotazione libertaria, un personaggio a cui ricordavo Rothbard dedica parole profonde in una delle sue opere, e la cui biografia non è dissimile da quella di Marcus Garvey, altro protagonista di quei rari fotogrammi di libertà nell’orrendo film della schiavitù. Al di là del tema, che magari ai più sembrerà scontato e demodé, si tratta di un piccolo messaggio di speranza. Fatalmente, una delle poche cose concrete su cui oggi può contare chi vorrebbe solo essere libero.

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Molti dei quotidiani che ho letto in febbraio pubblicavano articoli in onore del Black History Month. Ma tra quelli che rumorosamente invocano più stato (quindi più coercizione) come soluzione dei problemi sociali che affrontano i neri, un articolo su George Washington Carver mi ha colpito per il forte contrasto. I suoi creativi sforzi scientifici (compreso lo sviluppo di prodotti derivati dalle arachidi, dalle patate dolci e dalle noci di Pecan) beneficiarono i neri, così come molti altri, senza coercizione.
Interessatomi alla vicenda, ho iniziato una ricerca su Carver, scoprendo che il suo impegno fu decisivo per lo sviluppo economico del sud. Quasi subito però sono entrato in connessione con Booker T. Washington e il Tuskegee Institute da lui fondato e diretto (entrambi, sono sepolti l’uno accanto all’altro nel campus di Tuskegee). Nella vita ugualmente ispirata di Washington e nella sua più ampia opera scritta, ho scoperto un uomo dotato della comprensione dei mezzi di gran lunga più etici per il successo – autoemancipazione di cui hanno beneficiato anche altri attraverso accordi volontari – delle proposte stataliste che altri avanzavano allora, e ancora più avanzano oggi.

Booker T. Washington, nato schiavo, aveva setta anni quando l’Emancipation Proclamation fu annunciata. All’età di undici anni, ricevette il suo primo libro e gli fu insegnato a leggere.
Egli pensò “entrare in una scuola e studiare, sarebbe come entrare in paradiso”.
A sedici anni si iscrisse all’Hampton Insitute in Virginia – cinquecento miglia da casa – con nient’altro che un dollaro e mezzo nel portafogli, e lì seguiva le lezioni di giorno e lavorava la sera per pagarsi vitto e alloggio.
Dopo la laurea, Hampton fece di lui un insegnante. Nel 1881 fondò e poi diresse quello che oggi è il Tuskgee Institute, insistendo su come la formazione rappresenti la più solida base dell’etica del lavoro.

La più completa libertà compatibile con la libertà degli altri.
Booker T. Washington

Washington è stato un’instancabile educatore e sostenitore dell’auto emancipazione dei neri,
Al Tuskegee, insegnava agli alunni a dotarsi delle abilità tecniche necessarie a guadagnare un buon standard di vita. Premeva sui valori della responsabilità individuale, della dignità del lavoro e della perdurante necessità di un carattere etico come miglior strumento per gli ex schiavi che iniziavano con il solo sudore della fronte ad avere successo.

Sosteneva fossero il business, l’impresa e l’intraprendenza, anziché che l’agitazione politica, il più solido fondamento del successo. Diede vita alla National Negro Business Ligue. Comprese e modellò lo spirito capitalista, riconoscendo che chi sa servire meglio gli altri, otterrà egli stesso un beneficio da ciò.

Washington riconobbe, partendo da nient’altro che l’esperienza della schiavitù subita dal governo, che per i neri, al fine di progredire, ulteriore coercizione non sarebbe stata la risposta. Al contrario, che il successo non poteva essere trovato, se non attraverso l’autoemancipazioine e gli accordi volontari. Questo perché, indipendentemente dalle ingiustizie del passato, solo accordi volontari potevano prevenire che altre ingiustizie venissero commesse, e “che nessuna questione è mai definitivamente risolta fino a quando non è risolta nei principi della più alta giustizia”.

Sull’inadeguatezza della coercizione:
… ogni volta che le persone agiscono in base all’idea che lo svantaggio di un uomo è un vantaggio per un altro, lì c’è schiavitù.

Non è possibile trattenere un uomo in una fosse senza soffermarsi nella fossa con lui.

Ci sono due modi per esercitare la propria forza: uno è spingere in basso, l’altro è spingere in alto.

Accordatevi con voi stessi se ad una razza così disposta a morire per il proprio paese non dovrebbe essere conferita la piena possibilità di vivere per il proprio paese.

Non ho mai visto uno che non vuole essere libero, o uno che ritorna allo stato di schiavitù.

La schiavitù ha rappresentato un problema di distruzione; la libertà uno di costruzione.

… commetteremmo un errore fatale se cedessimo alla tentazione di credere che la mera opposizione ai nostri torti, e la semplice esternazione di denuncia, prenderanno il posto dell’azione progressiva e costruttiva, che sono il vero fondamento della civiltà.

[anziché la politica]… vorrei contribuire in modo più sostanziale contribuendo alla costruzione delle fondamenta della razza attraverso una generosa educazione della mani, della testa e del cuore.

Sull’autoemancipazione
Non ho mai avuto molta pazienza con la moltitudine di persone smpre pronte a spiegare il motivo per cui non hanno avuto successo. Ho sempre avuto grande considerazione per uomo che potrebbe rivelarmi come riuscirci.

Ciascuno dovrebbe ricordare che c’è una possibilità anche per lui.

Nessuno può degradarci tranne noi stessi.

Niente merita di essere posseduto, tranne il prodotto del duro lavoro.

Né dobbiamo consentire alle nostre rimostranze di adombrare le nostre opportunità.

Ho imparato che il successo si misura non tanto nella posizione che hai raggiunto nella vita, quanto nella quantità di ostacoli che hai dovuto superare per ottenerlo.

Poche cose aiutano un individuo come affidargli responsabilità facendogli sapere che vi fidate di lui.

Il carattere, non le circostanze, fanno l’uomo.

Solo i piccoli uomini serbano lo spirito dell’odio.

Non permetterò a nessuno uomo di ridurre e degradare la mio animo facendosi odiare.

Se vuoi elevarti, eleva qualcun altro con te.

Credo che la vita di ogni uomo si riempirà di un’inaspettata forza, se saprà tenere a mente di dover dare il meglio ogni giorno.

Il successo nella vita si fonda sull’attenzione che diamo… alle cose di tutti i giorni a noi vicine piuttosto che a quelle lontane e insolite.

… in condizioni di libertà, assieme agli elementi specifici di un determinato settore, si è avuto modo di avere a che fare con un altro elemento, che è quello dell’intelligenza, dell’istruzione.

… la libertà, nel suo senso più ampio e alto, non è mai stata una concessione, ma una conquista.
Uno sforzo costruttivo nella direzione del progresso cancella più ingiuste discriminazioni di tutti i lamenti del mondo.

Sulla libertà di accordo volontario
… il più completo miglioramento per ogni essere umano può avvenire solo attraverso il suo essere autorizzato ad esercitare la più completa libertà compatibile con la libertà degli altri.

La nostra repubblica è la conseguenza del desiderio di libertà che connaturato ad ogni uomo… libertà del corpo, della mente e dell’anima, e la più completa garanzia della sicurezza della vita e della proprietà.

… in fondo, l’interesse dell’umanità e quello dell’individuo sono gli stessi…

In condizioni di libertà e saggezza, [l’uomo] rende la più alta ed utile forma di servizio [agli altri].

Il mondo si interessa poco di quelo che un uomo sa; è quel che sa fare ciò che conta.

Nessun uomo che con costanza aggiunge qualcosa di materiale, intellettuale o morale benessere al posto in cui vive sarà lasciato a lungo senza un’adeguata ricompensa.

Nessuna razza che contribuisce con qualcosa nel mercato del mondo è a lungo ostracizzata.

L’individuo che può fare qualcosa per ciò che vuole il mondo, alla fine, troverà la sua strada indipendentemente dalla razza.

I più attenti studiosi del problema della razza iniziano ad accorgersi che il business e l’impresa costituiscono ciò che potremmo chiamare il punto strategico della sua soluzione.

… quelli che si sono resi colpevoli di critiche così dure [al ricco], non sanno quante persone sarebbero povere, e quanta sofferenza ne risalerebbe, le persone ricche avessero spartito in una sola volta la loro ricchezza smembrando e sciogliendo le grandi imprese commerciali.

Leggendo le parole di Booker T. Washington, ho trovato qualcuno che ha saputo ispirarmi sia con le azioni che con il suo carattere. L’enfasi posta sul rifiuto della coercizione sugli altri, e la fiducia invece nell’autoemancipazione e negli accordi volontari è esattamente ciò che noi, come genitori, a prescindere dalla razza, cerchiamo di insegnare ai nostri figli oggi, mentre li prepariamo a dare il meglio nella loro vita. E nonostante il fatto si tratti di un duro lavoro e di un sacrificio (come ogni vero successo), che lo rende un messaggio che molti non vogliono sentire, è vero e prezioso tanto oggi quanto lo era durante gli anni di Booker. T. Washington

Un chiodo fisso

Invito chiunque (vabbe’, dai, voliamo basso: z3ruel, Enrico e d.) si sia impegnato nei commenti dei due post Cui Bono? e Ritratto della schiavizzazione globale, a leggere l’ottimo post di Gaia su NUOVO ORDINE MONDIALE.

Il protagonista è ancora Jacques Attali, uomo sul quale in futuro, malgrado noi, credo ci sarà un bel po’ da dire.

Krugman’s blues

I read the New York Times, that’s where I get the news. Paul Krugman’s on the Op Ed page, that’s where I get the blues…

Fantastico! 😀

Cui bono?

agoraRipropongo la lettura di Cui bono?, tratto da “La teoria di Classe Agorista” di Sam Konkin

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“Il libertarismo è stato definito da William F. Buckley “apriorismo estremo” (in riferimento a “Notes Toward an Empirical Definition of Conservatism” di Murray N. Rothbard). In effetti, i libertari possono volentieri ingaggiare la sfida, se non l’implicazione peggiorativa, di eresia.

La fondamentale premessa libertaria della non aggressione – l’opposizione inflessibile a tutte le forme di inizio della violenza e della coercizione contro la vita e la proprietà – fornisce al libertario che analizza il contesto sociale e cerca di individuare le modalità con cui interagire con esso, un rasoio logico di eccezionale affilatura con cui, può asportare il grasso dei vari retaggi ideologici e conservare carne magra per genuini nutrimenti della sua comprensione. Forse nessun’altra ideologia, nemmeno il marxismo, dispone di una tale qualità di integrazione e auto-coerenza, come indicato dalla sorprendente rapidità con cui questa nuova e complessa teoria viene trasmessa ai nuovi libertari.

Quanto segue, è un eccellente esempio di “Rasoio di Rothbard” utilizzato nella sintesi di un approccio e nella comprensione in un’area quasi priva di fonti libertarie.

L’autore riconosce prontamente che il suo unico contributo originale in quest’ambito è stato quello di raccolta e organizzazione di scritti sparsi assorbiti durante la sua maturazione intellettuale, che è stata abbastanza fortunata da coincidere con quella del libertarismo. Soprattutto, il riconoscimento è rivolto al Libertarian Forum, al Dr, Murray N. Rothbard e agli studiosi che ha ispirato.

I. Analisi economica della teoria di classe libertaria.

Il Dr. Rothbard ha portato a conclusione l’intuizione maturata da John C. Calhoun, secondo cui lo stato – che noi riconosciamo come monopolio della legittimità della coercizione – divide gli uomini in due classi. Il sistematico saccheggio dello stato ai danni della popolazione in generale e la successiva distribuzione di questa ricchezza, necessariamente distorcono l’allocazione della proprietà esistente in un libero mercato.

Per libero mercato, i libertari intendono quello in cui tutti i beni ed i servizi sono scambiati volontariamente. Un’analisi degli scambi involontari è fornita da Power and Market del Dr. Rothbard.

In sintesi, le risorse consumate dagli individui che compongono la burocrazia dello stato, costituiscono il guadagno netto di tali detentori del potere (che altrimenti non farebbero parte del meccanismo) e costituiscono una perdita netta per le loro vittime, anche se le briciole sono state distribuite per quanto possibile equamente. In pratica, quanto più viene consumato dagli statalisti e dai loro beneficiari selezionati, tanto più le vittime perdono. Questa è la divisione fondamentale rilevata da Calhoun e da Rothbard: la divisione della società in una classe di sfruttatori che ha un guadagno diretto dall’esistenza dello stato, e una classe di sfruttati che incorre in una perdita certa a causa dell’esistenza dello Stato.

Il problema che subito emerge è che quasi tutti, nel moderno complesso dell’economia ibrida, guadagnano o perdono dalle azioni dello stato. Separare e contabilizzare è estremamente difficile.

I libertari ne converranno in primo luogo, però essi devono rispondere che ognuno può migliorare il carattere morale della propria vita sforzandosi di comprendere la natura delle fonti di ricchezza, massimizzando quelle non coercitive e minimizzando quelle coercitive; in secondo luogo, che la condizione di quelli che soffrono o traggono beneficio da un estremo disequilibrio può essere individuata ed affrontata. Quelli che palesemente soffrono per una pesante oppressione meritano l’attenzione e la priorità da parte di quei libertari umanisti interessati ad alleviare le pene delle vittime dello stato. Quelli che manifestamente guadagnano opprimendo attraverso lo Stato (la “classe governante”) possono essere giustamente sospettati di dirigere la politica di stato e diventare obiettivi prioritari di quegli attivisti libertari interessati a realizzare una società giusta.

II. Analisi storica della teoria di classe libertaria.

Il Dr. Rothbard è stato fortemente influenzato dal lavoro del sociologo tedesco Franz Oppenheimer (The State) e del suo discepolo americano, Albert Jay Nock (Il nostro nemico, lo Stato). Oppenheimer distingue due mezzi per l’acquisizione della ricchezza in mezzi economici e mezzi politici. Essi rispettivamente producono la ricchezza acquisita volontariamente sul mercato e la ricchezza acquisita attraverso il potere coercitivo.

Mi sono appassionato ad utilizzare il seguente paradigma per sintetizzare la tesi di Oppenheimer. Tranquilli agricoltori e agoristi (agorà = piazza del mercato) sono impegnati nella produzione e nel commercio, con giudici, forse sacerdoti e capi che organizzano sistemi di difesa contro tribù di predatori e bande di ladri nomadi.

Queste bande di selvaggi razziano tali comunità produttive per proprio guadagno parassitario, appropriandosi di tutti i beni rimovibili, schiavi compresi, e distruggendo la ricchezza stanziale attraverso l’incendio, lo stupro, e l’omicidio. Anche se in costante successo, i leaders di questi predoni presto si rendono conto che il loro comportamento potrebbe esaurire in fretta le fonti di ricchezza. Il primo passo verso la civiltà è allora quello di lasciare ricchezza e popolazione sufficiente alla ricostruzione, in modo tale da consentire nuove irruzioni in seguito. I parassiti cessano di essere una minaccia fatale per i loro ospiti.

Naturalmente, la minaccia di un raid annuale durante il raccolto, ad esempio, sarebbe in qualche modo scoraggiata in quanto comprometterebbe la produttività delle vittime. I barbari più illuminati passano alla fase successiva – occupando la comunità agorista, istituzionalizzando e regolarizzando il saccheggio e lo stupro (ad esempio con l’imposizione fiscale e lo Ius primae noctis).

Questi governanti cercano di contrastare sfiducia, risentimento, e ribellione alleandosi con (o corrompendo) i sacerdoti affinché essi enfatizzino il ruolo della classe dirigente convincendo le vittime che esse traggono effettivamente un vantaggio dalla presenza di questi “protettori dell’ordine”.

Più tardi nella storia, man mano che la popolazione perde interesse verso la religione, questa funzione di creatori della mistica per il controllo della mente, sarà ripresa dalla corte degli intellettuali. I saccheggiatori possono anche sorgere internamente. Forse i capi militari e i sacerdoti nativi, vedendo gli esempi che li circondano, convincono la gente del posto che anche loro hanno bisogno di una forza permanente per difendere la comunità contro l’invasione dagli stranieri. Creando la stessa mistica, i protettori diventano il saccheggiatori e un nuovo stato è nato.

La teoria di Oppenheimer completa alla perfezione l’analisi di Calhoun e Rothbard rivelando le origini degli stati odierni. Per uno studio dei moderni stati-nazione e dell’attività delle loro strutture di classe ci rivolgiamo agli storici revisionisti.

III. Contributi revisionisti alla teoria di classe libertaria

La Prima Guerra Mondiale ha spaccato il corpo intellettuale liberale e radicale. Anche gli anarchici si sono divisi sulla questione guerra. Tra gli storici, i gruppi di oppositori alla guerra, iniziavano a riesaminare i dati per provare la correttezza della loro opposizione e dimostrare ai più ideologizzati sostenitori della guerra come essi fossero stati ingannati e resi servi dei “profittatori” plutocratici della guerra, dei cavilli politici e di un celato imperialismo. La disillusione diffusa con il trattato di Versailles ha aiutato tali revisionisti e ha guadagnato l’accettazione generale delle loro esposizioni. Charles Beard, Harry Elmer Barnes, Sidney Fay, J.W. Dolore, e W.L. Langer negli Stati Uniti; J.S. Ewart in Canada; Morel, Beazley, Dickinson, e Gooch in Inghilterra; Fabre-Luce. Renouvin, Demartial in Francia; Stieve, Montgelas, von Wegerer, e Lutz in Germania; Barbagallo, Torre, e Lumbroso in Italia: questi storici divennero molto in auge, specialmente quando sorsero leaders tra le forze sconfitte per rivedere i termini del trattato, e pacificatori tra quelle vincenti per rispondere a tale esigenza.

La Seconda Guerra mondiale provocò una nuova divisione, con Beard, Barnes, Charles C. Tansill negli Stati Uniti, e F. J. P. Veale ed A. J. P. Taylor che rimanevano (o diventavano) Revisionisti della Seconda Guerra, mentre gli altri andavano a prostituirsi dopo la “guerra perpetua per la pace perpetua” (originariamente “New War to the End of all Wars”, ma è quasi certo che SEKIII stesse citando A.C. Beard, già nominato nel testo e autore della definizione qui tradotta). Questa volta, le forze vincitrici riuscirono ad imporre un “black-out storico” sui Revisionisti attraverso l’influenza degli intellettuali di corte diffusa nelle Università finanziate dallo stato e nelle pubblicazioni storiche. Coraggiosi dissenzienti venivano tacciati di simpatie naziste nonostante molti potessero vantare impeccabili credenziali liberali e socialdemocratiche.

Il Fronte Revisionista americano ha avuto qualche momento di successo, ma l’attività del fronte revisionista europeo rimane un’attività malfamata.

Il revisionismo sulla guerra fredda è in qualche modo meno accreditato rispetto a quello sulla prima guerra mondiale, ma più accettato del riesame sulla seconda guerra. In modo più incoraggiante, storici “marxisti deviazionisti” e legati alla New Left, i quali vennero introdotti al Revisionismo per via della loro avversione alla Guerra del Vietnam, iniziarono a guardare indietro per trovare le radici della moderna politica estera. A sinistra, Weinstein e Gabriel Kolko integrarono la Storia Revisionista della politica estera con la ricerca sulla classe dominate interna. A destra, i Birchers (membri della John Birch Society, un’organizzazione anticomunista americana fodata nel 1958 N.d.t.), abbandonando la loro teoria del demonio comunista internazionale, svilupparono gradualmente una “Teoria della Cospirazione” meno isterica, attraverso l’esposizione delle macchinazioni dei plutocrati americani.

The Higher Circles di G. William Domhoff inizia l’opera di sintesi delle varie correnti del revisionismo in una sola semplice tesi, con l’apporto delle ricerche sociologiche contenute in Power Élite di C. Wright Mills. Domhoff, un simpatizzante di sinistra, dedica una sezione del suo libro a uno dei primi teorici della cospirazione, Dan Smoot, simpatizzante di destra, che riteneva fosse in buona parte condivisibile. Da allora, l’opera di Smoot è stato rimpiazzata da None Dare Call It Conspiracy di Gary Allen.

IV. Teoria di classe libertaria applicata alla politica interna.

Beard ritorna alla secessione americana dall’Impero Inglese con il suo Economic Interpretation of the Constitution”. I libertari tendono a iniziare con il periodo di relativo laissez-faire del tardo diciannovesimo secolo americano, esaminato da Kolko nel suo magnifico Triumph of Conservatism. Kolko devia dal marxismo ortodosso sostenendo che i malvagi capitalisti non hanno stabilito le loro regole a causa della inevitabile concentrazione di potere economico verificatasi con il capitalismo, ma piuttosto hanno complottato per ottenere l’aiuto dello stato nella distruzione di un mercato semilibero competitivo troppo trionfante che minacciava la stabilità a lungo termine dei loro profitti.

Kolko mette in luce in maniera prorompente come la massiccia regolamentazione dei trasporti e la legislazione anti-trust difesa dal movimento antimonopolista progressista fosse attivamente sostenuta da potenti uomini d’affari come Andrew Carnegie, Mellon, Morgan, e Rockefeller. Nel 1905, la National Civics Federation venne creata per combattere contro le tendenze “anarchiche” del laissez-faire verso cui era orientata National Association of Manufacturers (la gran parte dei piccoli imprenditori dai modesti interessi personali vuole crescere, non inculcare agli altri le proprie opinioni e decisioni).

I membri del NCF venivano esortati a sostenere legislazione e regolamentazione del lavoro al fine di integrare l’aristocrazia del lavoro come socio junior nell’emergente nuova classe dirigente. Con gli anni, le alte cerchie diedero vita al Council on Foreign Relations per influenzare la politica estera (legandosi a livello internazionale a gruppi simili dell’Europa Occidentale attraverso il “Bilderbergers”) e al Committee for Economic Development per condizionare la politica interna degli Stati Uniti.

Recentemente, Ralph Nader si è detto stupito per aver scoperto che la maggior parte dei Regulatory Boards è guidata dalle stesse corporazioni che sono preposte a controllare. Uno può solo iniziare a immaginare ciò che la gente del CFR-CED sta facendo con il Wage-Price Controls.

Il clic-claque (gioco di parole intraducibile, letteralmente significa “istantanea”, ma claque nel gergo canadese francofono può significare anche “persone pagate per applaudire”, ndt) è pronta per un’equa rappresentazione del big business, delle grandi unioni sindacali e dello stato. Sorpresa!

V. Teoria di classe libertaria applicata alla politica estera.

Il finanziamento della Prima Guerra Mondiale è legato ad alcuni aneddoti incredibili. Ad esempio, c’erano i fratelli Warburg, uno che finanziava lo sforzo bellico tedesco, l’altro che finanziava quello degli alleati. C’erano miniere di bauxite in Francia che rifornivano di alluminio l’aeronautica militare tedesca, e le attività dei “mercanti di morte”, produttori di munizioni che vendevano ad entrambe le parti in guerra sarebbero comiche se i milioni di morti potessero essere dissociati. La moderna teoria revisionista inizia con i tentativi della Banca di Inghilterra di ripristinare il valore della sterlina. La massiccia inflazione provocata dalla guerra rendeva impossibile riportarla al suo valore aureo pre-bellico, l’urgente ricostruzione della Germania aveva condotto all’iperinflazione e il crack-up boom demoliva l’economia tedesca (portando il paese al putsch del 1923).

Il banchiere Montagu Norman si incontrò con alcuni finanzieri americani in Georgia allo scopo di svalutare la moneta degli Stati Uniti per migliorare la posizione della sterlina. Nel frattempo, gli inglesi avevano già convinto i loro satelliti nell’Europa orientale (creati tra l’URSS e la Germania da quel perfido Trattato) a seguirli nella loro politica economica.

L’inflazione causata dal board della Federal Reserve nei ruggenti anni venti (un’esplosione alimentata dalla stessa espansione monetaria) condusse al crack, alla Depressione e agli squadristi fascisti del NRA e dell’IRS di Roosevelt che razziavano le case per sequestrare il metallo recentemente bandito, l’oro.

Ovviamente, le autocrazie fasciste europee, liberate dal controllo dei plutocrati del mondo, impegnate nella competizione con i loro propri interessi, provocarono la ritorsione della Seconda Guerra Mondiale.

Questo volta, il complesso militare-industriale americano non fu smantellato (vedi Revisionist Viewpoints di James J. Martin per la ristampa di un discorso veramente raccapricciante dato nel 1940 per sostenere proprio ciò e in cui si chiedeva agli uomini d’affari di unirsi ad esso — dove “esso” è l’imminente Nuovo Ordine Mondiale). Una nuova minaccia alla Pace internazionale si era resa necessaria e meno di due anni dopo il termine della “Seconda Guerra per la fine di tutte le guerre”, Churchill annunciò che “una cortina di ferro era calata in Europa”.

Una corposa ricerca sui beneficiari plutocratici della Guerra del Vietnam è in corso, allo stesso tempo sappiamo molto meno riguardo a chi giova il conflitto Medio Oriente. Alcuni libertari hanno già iniziato a individuare gli interessi della classe sfruttatrice composta dall’élite del potere per poter prevedere la prossima Guerra.

VI. Interpretazioni alternative.

A. Marx

Mentre il determinismo storico-economico marxista porta molti studiosi del campo a conclusioni analoghe a quelle dei libertari, esso contiene diversi errori fatali – oltre alle evidenti distorsioni economiche. La necessità di una rigida adesione all’interpretazione della lotta di classe basata sul possesso della ricchezza anziché sui mezzi della sua acquisizione e sull’inesorabile arrivo della rivoluzione del proletariato per mezzo delle forze organizzate del lavoro, conduce il marxista a reinterpretare e a razionalizzare le proprie conclusioni per adattarle al contesto ad ogni costo.

Forse, in modo altrettanto devastante, il marxismo è oggi una “religione” che giustifica l’esistenza di dozzine degli stati nel mondo, e i marxisti giocano ora a fare gli intellettuali di corte sopprimendo i revisionisti sul loro cammino.

B. Consenso

La Scuola del Consenso, il gruppo dominante degli storici di corte in Occidente, nega l’esistenza delle classi. Mentre vi possono essere stati empi sfruttatori nel passato, oggi sono stati avviati e assicurati alla giustizia con l’Era Progressista, il New Deal, il Fair Deal, la Nuova Frontiera, la Grande Società, e qualunque cosa deve avvenire.

A noi lasciano immaginare che tutti questi plutocrati stiano facendo fortune sul fallimento dei riformatori precedenti per scoprire tutte le inadeguatezze e le imperfezioni economiche del libero mercato.

E se i plutocrati che hanno guadagnato di più dall’intervento statale hanno sostenuto Roosevelt, Wilson, Roosevelt, Truman, Kennedy, Johnson, e chiunque subentrerà a Nixon… sarà stato per caso, per una serie di coincidenze, se queste persone, pur incapaci di capire i propri veri interessi, si sono comunque arricchite?

C. Rand

Nessuno accuserebbe Ayn Rand di essere uno storico competente o una caposcuola di storiografia. Purtroppo però, la sua teoria trasmette un’implicita interpretazione della storia che si conserva in molti di quelli che hanno disertato l’oggettivismo per il libertarismo. A suo avviso, in modo analogo alla scuola del consenso, ma dall’alto di un giudizio morale, i pacifici e produttivi capitalisti erano tutti impegnati a fare del bene nel diciannovesimo secolo, quando arrivò l’orda dei progressisti collettivisti ubriachi di statalismo ed ebbri di altruismo a razziare i loro profitti e a posare le loro viscide mani sulle loro attività (rigorosamente tra adulti consenzienti). Avendo assorbito troppo altruismo collettivista essi stessi, i capitalisti abbandonarono la battaglia intellettuale per la libertà e cercarono pragmaticamente di adeguarsi al nuovo sistema, che li portò a sostenere tiranni pragmatici come plumbers di Nixon.

Benché io non sia certamente in disaccordo con la necessità di indirizzare una buona parte degli uomini d’affari ad una visione etica e filosofica, la non conoscenza (e/o l’ignoranza) della Rand dei potenti con interessi personali nello stato lascia l’oggettivista con la tattica del dibattito da salotto e del pamphletismo come sua unica difesa contro le armi e le prigioni dello statalista. Che frustrazione deve aver provato l’Oggettivista sentendo che Richard Nixon ha letto “La rivolta di Atlante” senza ancora aver visto la luce! Se solo David Rockefeller lo ascoltasse per un minuto…

VII. Valore della teoria di classe libertaria.

Diverse buone ragioni sono già state suggerite in questo articolo per lo studio e l’applicazione della teoria di classe libertaria. Comprendere la natura del nemico non guasta mai quando lo si deve affrontare. Facendo della Casta dell’Interesse Personale un tema su cui dibattere, i vermi plutocratici, strisciando da sotto, possono portare la pressione dell’opinione pubblica a forzare l’élite del potere a prendere atto del dissenso e a rinunciare alla loro intollerabile attività.

Convincendo i New Leftists e i Birchers che voi siete consapevoli del problema e potete spiegare la Cospirazione della Classe Dominante dovrebbe anche meglio aiutarvi nel reclutare persone alla causa della libertà. Trattare gli Intellettuali di corte come strumenti degli interessi che si supponeva essi avessero dovuto abbandonare nella loro presunta ricerca della Verità e dell’Illuminazione, potrebbe scuotere bruscamente qualche accademia e compromettere la credibilità di questi moderni stregoni che ci propinano il loro sofisticato voodoo.

Murray Rothbard esorta l’attivista libertario a bruciare di passione per la giustizia. Se tale è la nostra questione, allora la Teoria di Classe libertaria è indispensabile alla scoperta di quelli che hanno imposto lo statalismo su di noi, e di chi con le mani insanguinate intasca il bottino.

La giustizia dei tempi passati è necessaria per una nuova libertà.

[Questo articolo è apparso la prima volta in New Libertarian Notes #28, nel dicembre del 1973.]”

Segnalo che su Youtube (e suppongo quindi anche sui circuiti di sharing) è disponibile il film EndGame di Alex Jones, celebre conduttore di infowars.com, sottotitolato in italiano e in cui compare anche Ron Paul.
Se può interessare, dell’opera ne ha parlato anche Lew Rockwell.
Qui, il primo dei 14 episodi.

036-fdr-television-broadcastCon l’intento di arginare gli esisti dell’attuale crisi economica, l’amministrazione Obama sembra pervicacemente intenzionata a ripetere gli errori commessi da Franklin delano Roosevelt durante la Grande Depressione. Del resto, bisogna ammettere che ha buon gioco, visto che il mito della creazione dei posti di lavoro di FDR rimane ancora bene impresso nella mente di molte persone.
Purtroppo però, nella sfera economica, ogni istituzione, ogni legge, ogni intervento, non genera un solo effetto, ma molteplici effetti, molti dei quali non immediatamente visibili e va bene se si possono prevedere. Era questa la lezione del grande economista francese Frédéric Bastiat, il quale, nel suo saggio Ciò che si vede e ciò che non si vede, spiegava come il cattivo economista si limiti agli effetti visibili, mentre il buon economista considera l’effetto che si vede e quelli che invece occorre prevedere.
Alla luce di questa semplice constatazione, il New Deal di Roosevelt si rivela per ciò che realmente è stato: un mito da sfatare.

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Barack Obama dice che i circa 800 miliardi di dollari del suo Piano Americano di Recupero e Reinvestimento potrebbero salvare o creare tra i tre e i quattro milioni di posti di lavoro entro il 2010. Molti dei posti di lavoro offerti – costruzione o riparazione di strade, ponti ed edifici -, ricordano il New Deal. Vi è una svolta moderna, ovviamente, con la promessa di sviluppare le “fonti di energia alternativa”, come parchi eolici, pannelli solari, nuovi carburanti per auto eccetera.
“I di posti di lavoro che creeremo riguarderanno le grandi e le piccole imprese in una vasta gamma di settori,” ha promesso Obama “e saranno posti di lavoro che non solo daranno un impiego alle persone in breve termine, ma, sul lungo termine, posizioneranno la nostra economia alla guida del mondo”.

In primo luogo, ci si può chiedere: come possono, Obama e i suoi consulenti economici, sapere quale tipo di posti di lavoro riusciranno sul lungo termine a posizionare la nostra economia alla “guida del mondo”? Anzi, come possiamo aspettarci che chiunque possa sapere quale tipo di posti di lavoro saranno in grado di offrire una simile garanzia di ricchezza e sicurezza, considerando l’enorme complessità del mondo? Miliardi di persone prendono continuamente decisioni sulla base delle loro aspettative riguardo al futuro. I potenziali cambiamenti ideologici e gli inevitabili cambiamenti dovuti alla loro politica di finanziamento e di sostegno complica ulteriormente le cose; senza considerare i progressi tecnologici che possono trasformare il più calibrato dei piani in un enorme buco nell’acqua. Sembra un po’ poco una persona o un gruppo di persone per conoscere e prevedere il futuro, specie su così vasta scala, come nel caso di tre o quattro milioni di posti di lavoro.

Tuttavia, supponendo che Obama e i suoi consulenti abbiano ragione, che il loro piano, quindi, salvi o crei tutti quei posti di lavoro, di quali prove disporremo per poter di aver fatto un miglioramento, rispetto a se lo stesso piano non venisse applicato per niente?

Nel suo saggio “Ciò che si vede e ciò che non si vede”, l’economista liberale francese Frédéric Bastiat spiegava che si tende a riconoscere solo le conseguenze dirette di un’azione (ciò che si vede). Tuttavia, spesso, vi sono altri effetti successivi, la cui connessione con tali azioni non viene percepita (ciò che non si vede). Inoltre, gli effetti a breve termine di un’azione possono essere a volte molto diversi dalle conseguenze invisibili che si verificano a più lungo termine.

Nel caso dei lavori pubblici, Bastiat spiegava che il governo non produce nulla di indipendente dal lavoro e dalle risorse che sottrae agli utilizzi privati. Quando il governo prende in prestito denaro per creare posti di lavoro, ciò che si vede immediatamente sono persone che lavorano e i frutti di tale lavoro. Tuttavia, ciò che non viene generalmente considerato, sono tutte le altre cose che potrebbero essere state prodotte se il capitale non fosse stato inizialmente rimosso dal settore privato per finanziare i programmi del governo. Tali politiche necessariamente beneficiano alcuni (i lavoratori che ne favoriscono) a scapito di altri (coloro che avrebbero avuto i posti di lavoro che non sono stati creati) e, eventualmente, di tutti i contribuenti che dovranno ripagare il debito.

Ciò che si vede

I progetti per le opere pubbliche del New Deal forniscono numerose prove alla teoria di Bastiat. Essi, non solo fallirono nel tentativo di portare l’economia fuori dalla Grande Depressione, ma furono proprio ciò che la rese grande.

Inanzitutto, dei molti lavori creati sotto FDR ne hanno beneficiato in pochi, a parte quelli impiegati in cose come studiare la storia della spilla di sicurezza, raccogliere contributi per le campagne elettorali dei candidati del Partito Democratico, inseguendo le salsole e codificare 350 modi diversi per cucinare gli spinaci. (Vedi Lawrence Reed i Grandi Miti della Grande Depressione)

Inoltre, gran parte della “creazione dei posti di lavoro” veniva assegnata sulla base delle preferenze politiche, anziché là dove di impiego, probabilmente, ce ne sarebbe stato più bisogno.
Ad esempio, gran parte del soccorso pubblico andò agli stati ballerini dell’ovest, nella speranza di consentire a Roosevelt di ottenere voti alle elezioni future, invece che agli stati più poveri, come quelli del Sud, che erano già convintamente democratici durante quel periodo. La spesa per il soccorso ed i lavori pubblici sembrava anche aumentare paurosamente durante gli anni in cui si svolgevano le elezioni, ed è stato dimostrato che i voti andati a FDR erano strettamente correlati con i posti di lavoro ed altri speciali benefici forniti dal governo. (Vedi Folsom Burton’s New Deal or Raw Deal? How FDR’s Economic Legacy Has Damaged America).

Ciò che non si vede

I progetti per la creazione di posti di lavoro del New Deal hanno inoltre ostacolato la produttività scoraggiando le imprese private dall’adottare nuove tecnologie. L’esempio più lampante è un’azienda agricola del governo in Arizona, dove lo staff di una latteria scoprì che si poteva ottenere un maggiore profitto semplicemente utilizzando macchine mungitrici, al posto della mungitura a mano, eliminando quindi alcuni posti di lavoro. Ma ciò avrebbe violato i termini finanziamento del governo. Pertanto, le macchine non furono introdotte, e coloro che avevano fatto la proposta vennero licenziati. (Amity Shlaes racconta la storia in “The New Deal Jobs Myth”).

Roosevelt viene ancora celebrato per le sue misure sull’occupazione perché quelle persone che hanno ottenuto un impiego erano facilmente visibili. Tuttavia, ciò che non è stato (e non è) così facilmente riconoscibile è che per pagare i suoi esperimenti nel pubblico impiego, il governo ha assorbito gran parte del capitale a disposizione attraverso la vendita di obbligazioni e collezionando tasse, incluso il cinque per cento della ritenuta alla fonte in materia di dividendi corporativi, a cui si aggiungono le sempre crescenti imposte sul reddito, il cui apice raggiunse uno sconcertante 90 per cento.
In tal modo, il New Deal ha avuto come conseguenza non intenzionale di prolungare la Grande Depressione, dirottando risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per creare ricchezza.

Barack Obama e i suoi consulenti dovrebbero far tesoro della lezione della storia. Il New Deal e suoi progetti di pubblico impiego sono stati un disastro, e sarebbe un errore pensare che dovrebbe essere fatto un altro tentativo.
Come spiegò Bastiat, il governo non crea ricchezza, ma solo deviazioni ad essa. Quando il governo controlla la ricchezza, inevitabilmente tende a servire fini politici piuttosto che gli interessi dei consumatori. Le politiche del New Deal di FDR sono una testimonianza di questo, e se verranno ripetute, come risposta alla nostra attuale crisi economica, saranno solo un ostacolo alla ripresa.

Larissa Price

facesIl professor Thomas Szasz, è docente di psichiatria presso la SUNY – Upstate Medical University di Syracuse, NY. In qualità di insider, porta avanti da anni una battaglia di sensibilizzazione sui pericoli legati all’esercizio della professione psichiatrica, la quale, potendo vantare di un presunto status di disciplina scientifica garantito dalle leggi, in realtà si muove senza una bussola, disponendo arbitrariamente della vita e della libertà delle persone. Spesso, gli psichiatri, svolgono per lo stato la funzione di controllo della società, rimuovendo o neutralizzando con la forza e con la pretesa di saperne prevedere il comportamento futuro, quei soggetti che semplicemente dimostrano di avere comportamenti insoliti rispetto agli altri. Tutto ciò è chiaramente l’aberrazione di una professione che, sostiene Szasz, è di fatto una pseudoscienza il cui compito è la “cura dell’anima” degli individui, i cui comportamenti, per definizione, non sono prevedibili né classificabili. Ecco il suo ultimo affondo.

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In risposta al mio articolo del 2009, il professore di economia della George Mason University, Bryan Caplan, ha commentato: “Negli ultimi due decenni, un sacco di persone hanno chiesto scusa per i crimini del passato commessi dai gruppi con i quali esse si identificano: gli Stati Uniti per l’internamento giapponese, la Chiesa per Galileo, i banchieri svizzeri per il riciclaggio del denaro sporco nazista e anche i giapponesi (alcuni giapponesi) per i loro crimini di guerra. Mi piacerebbe vedere gli psichiatri fare lo stesso e riconoscere che gli atteggiamenti inusuali delle persone non sono “malattia”, affermare che è sbagliato sottoporre a trattamenti le persone contro la loro volontà e girare le spalle ai “grandi” della loro professione che hanno creduto e praticato terapie coercitive”.

Sono grato a Caplan per aver richiamato l’attenzione su un problema che la maggior parte delle persone preferisce ignorare. La sua speranza, tuttavia, non può essere soddisfatta, ed è importante capire il perché. La rivendicazione di possedere competenze astronomiche e facoltà di incarcerare gli eretici non è parte integrante dell’identità della Chiesa cattolica. Al contrario, sostenere di avere competenze nella previsione della “pericolosità” e la facoltà di incarcerare individui che si presume siano così a causa di una “malattia mentale” è parte integrante dell’impresa psichiatrica. Wikipedia definisce il ricovero coatto (TSO in Italia N.d.t.) come “la pratica di utilizzare mezzi o procedure legali come applicazione di una legge sulla salute mentale, internando una persona in un ospedale psichiatrico, in un manicomio o in un reparto psichiatrico contro la sua volontà e/o proteste… Un motivo comune per cui si ricorre al ricovero coatto è quello di evitare situazioni di pericolo per l’individuo o la società”.

A fasi alterne, gli psichiatri negano e apprezzano il fatto di essere in possesso di particolari competenze professionali con cui possono individuare la “pericolosità” futura e che conferiscono loro il diritto allo speciale potere di incarcerare persone che condannano al carcere mascherato da ospedale. Il sistema giuridico americano fa un uso pesante delle perizie psichiatriche sulla pericolosità, a causa del quale un gran numero di americani sono privati della libertà e, allo stesso tempo, della possibilità di dimostrare l’ingiustizia della loro detenzione. Gli esempi abbondano.

Kafka in tribunale

Nel marzo 2004 Susan Lindauer è stata arrestata nel Maryland, e accusata di “agire come un agente non riconosciuto di un governo straniero”. È stata condannata a 25 anni di detenzione. Anziché processarla, gli psichiatri del governo hanno dichiarato la Lindauer mentalmente inadeguata a stare in aula e l’hanno incarcerata al Carswell Federal Medical Center in Texas, una struttura definita “di servizi medici per la salute mentale di criminali femmine”. Ma la Lindauer non era una criminale. Era un’americana innocente.

Dopo aver “ospedalizzato” la Lindauer per diciotto mesi, i suoi torturatori “medici” conclusero che, benché fosse ancora mentalmente malata e inadeguata a subire un processo, non aveva più bisogno di “cure” psichiatriche. Revocato l’arresto, rientrò nel Maryland dove il tribunale federale la segnalò ad una struttura privata per una perizia. Secondo la mozione presentata dal suo avvocato e tutore, il Dott. Bruke Tadessah disse: “Il referto diagnostica un disturbo da stress post traumatico dovuto all’esperienza di Carswell”. Lo scorso gennaio il governo federale ha chiuso il caso contro la Lindauer “in quanto non più di interesse per la giustizia legale”, il che implica che la sua è stata un persecuzione nell’interesse della giustizia.

Incarcerazione a tempo indeterminato

Quando Donald Schmidt aveva 16 anni, molestò ed annegò una bimba di 3 anni. Ai sensi della legge della California sui reati minorili, chi commette gravi delitti può essere detenuto nel sistema carcerario solo fino ai 25 anni. Ma la detenzione di Schmidt venne estesa in conformità al codice statale che consente “di continuare la detenzione se una giuria ritiene che il soggetto soffre di un disturbo mentale o presenta deviazioni e anomalie che gli creano serie difficoltà a controllare i suoi comportamenti pericolosi”.

Cosa dovrebbe fare Schmidt per ottenere il divorzio dai suoi “medici” e riguadagnare la libertà? Ogni due anni può presentare una richiesta di rilascio e sperare che un giudice indica un “processo” incaricando i giurati di decidere se egli rappresenta ancora un pericolo per la società.

Avanzando un’altra ipotesi, il procuratore distrettuale di Santa Cruz County Bob Lee ha dichiarato “Noi crediamo sia uno psicopatico”. Richard A. Starrett, un medico psicologo, convenne sul fatto che Schmidt fosse ancora un pericolo, anche se “non uno psicopatico”. Krisberg Barry, presidente del Consiglio Nazionale sulla Criminalità e la Delinquenza di Oakland, California, ha definì invece il caso Schmidt “uno su un milione”

L’affermazione secondo cui la sentenza psichiatrica a tempo indeterminato di Schmidt è insolita, è tipica della falsità e della depravazione intrinseca alla psichiatria forense. John Hinckley, Jr., non è mai stato condannato per un crimine, ma sconta la sua pena a 28 anni di reclusione psichiatrica. Evidentemente i più grandi psichiatri del governo hanno bisogno di più tempo per la cura della sua pericolosità.

La psichiatria è la legittimazione politica della detenzione di persone innocenti sulla base pronostici psichiatrici, una pratica che sembra godere dell’approvazione quasi universale delle persone nella società moderna. Il riconoscimento del fatto che la psichiatria non coercitiva è un ossimoro, è oscurato dalla concomitante pratica apparentemente consensuale della “terapia”. Dico “apparentemente”, perché il professionista della salute mentale detiene l’obbligo e il privilegio di privare della libertà il suo paziente, se costui “rappresenta un pericolo per se stesso o gli altri”.
Di conseguenza, gli psichiatri e la stampa, regolarmente invocano “riforme” della psichiatria, mentre i “medici” impegnano se stessi in sempre più raffinate forme di depravazione psichiatrica, con il sostegno della indiscussa e indiscutibile premessa che la “pericolosità” giustifica la reclusione chiamata “ospedalizzazione”.

Nella relazione pubblicata di un seminario del 1981 intitolato Scienza Comportamentale e Servizi Segreti, sponsorizzato dal prestigioso Institute of Medicine, Robert Michels, professore di medicina e psichiatria al Weill Cornell Medical College di New York, ha affermato che “la maggior parte dei professionisti della salute mentale ritiene che non vi sia un grande dilemma etico se è nell’interesse del paziente violare la sua riservatezza, e che è in generale del paziente (così come della società) interesse di evitare una grave violenza”. L’affermazione che “la maggior parte dei professionisti della salute mentale ritiene” che la violazione del diritto dell’imputato ad un processo garantito dal Sesto Emendamento serve al suo interesse, è la prova della depravazione psichiatrica, non moralità.

Per peggiorare le cose, poche pagine dopo, il relatore del seminario ci informa che “Alcuni congressisti, compresi gli psichiatri Robert Michels e Loren Roth [un’importante psichiatra forense e docente presso l’Università di Pittsburgh], hanno messo in dubbio l’utilità di determinare definitivamente la pericolosità di qualcuno, in quanto tali decisioni in qualsiasi momento possono rivelarsi altamente inaffidabili e quindi non valide… I professionisti della salute mentale, in generale, non hanno dimostrato di essere meglio di chiunque altro a fare previsioni circa il comportamento che potrebbe verificarsi in un futuro lontano sotto mutevoli condizioni”.

Nessuna di queste evidenze intacca la pretesa della professione psichiatrica di essere una disciplina medica etica e scientifica. La psichiatria è così profondamente radicata nel controllo sociale e così fortemente sostenuta dalla magia pseudoscientifica e dal pregiudizio che gli psichiatri devono serrare i ranghi e giustificare in qualche modo le misure coercitive a cui ricorrono, o ripudiare e abolire la loro professione così come ora la conosciamo.

Chi di stato ferisce

Il mio collega ‘merregano mi racconta che il suo homie, proprietario di uno sneakers store a downtown L.A., è stato denunciato dalla polizia perché… gli hanno svaligiato il negozio. Avete letto bene: perché gli hanno svaligiato il negozio.
Richard, infatti, infischiandosene del regolamento comunale, ha osato tenere ugualmete aperto il negozio durante la finale la finale championship vinta dai Lakers, al termine della quale i tifosi della squadra losangelina si sarebbero dati alla pazza gioia depredando i negozi attorno allo stadio come ai tempi di Rodney King. Ma mentre gli altri negozianti hanno potuto esporre denuncia per tentare di essere risarciti dall’assicurazione, lui di denuncia se n’è beccata una per “svolgimento abusivo di attività commerciale”. Certo che se la psicologia del tifoso che si mette a razziare e distruggere anche quando vince è strana, quella dello stato che denuncia gli aggrediti non è da meno. Come dite? Lo stato siamo noi quindi dentro ci sono anche i tifosi? Giusto, fatto bene a ricordarlo.

krugman1A cosa è dovuto il fatto che, ormai da tempi immemori e con un’imbarazzante regolarità, ogni previsione proveniente dagli economisti mainstream (keynesiani a cui non disdegnano di unirsi, talvolta, i monetaristi à la Chicago Boys, forse troppo sbrigativamente annoverati tra i liberisti) si è rivelata puntualmente sbagliata?
Sostanzialmente ad una profonda ignoranza riguardo l’essere umano, a cui si somma un fatale errore metodologico di cui ci parla Per Bylund in questo articolo.

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Al momento, la conclusione a cui più o meno tutti sono giunti, sembra essere che vi sia la necessità di un nuovo insieme di teorie economiche, di teorie del mercato – di teorie della “crisi economica”. La ragione di questa esigenza è il fatto che “nessuno” aveva previsto la recessione e la crisi attuali e che le previsioni fatte, comunque, si sono rivelate sbagliate, proprio come c’era da aspettarsi.
In effetti, mentre molti economisti prevedevano un continuo aumento della crescita e della ricchezza, il futuro reale si rifletteva in un’economia in caduta libera con un certo numero di imprese ed interi settori ormai al collasso.

In un editoriale del National Post l’ovvia questione è stata posta: A cosa servono gli economisti? Domanda quanto mai opportuna, soprattutto perché non vi è stato alcun tentativo di trovare dei responsabili, nessun vero dibattito pubblico sulle ragioni per cui tutte le previsioni si sono rivelate errate e nessuna conseguenza per i professionisti dell’economia autori di quelle previsioni. Dopo tutto, gli economisti mettono spesso in evidenza il fatto che certi provvedimenti vengono presi sulla base delle ipotesi razionali riguardanti le loro conseguenze e che tutti i provvedimenti hanno conseguenze di qualche tipo. L’esercito degli economisti previdenti dev’essere chiaramente un’eccezione a questa regola.

Tra i professori di sociologia è frequente una battuta: dite ciò che volete agli economisti, tanto vi sarà data sempre una risposta lineare e precisa – che sappiamo sarà sempre sbagliata. Pertanto, la domanda dell’opinionista del National Post dovrebbe essere ben inquadrata, perché è una domanda importante: perché esistono gli economisti?

C’è tuttavia una domanda ancor più importante, soprattutto per gli economisti che fanno tutte queste previsioni “sempre sbagliate”, e riguarda cosa rende tali previsioni sempre sbagliate. La risposta risiede nell’errore contenuto in un famoso (o infame?) articolo di Milton Friedman dal titolo “Metodologia dell’Economia Positiva” (invito i lettori a inserire in Google: “The Methodology of Positive Economics”, Friedman per scoprire quale sito lo propone per primo, N.d.t.) e nell’operato di quelle persone che ne hanno seguito gli insegnamenti o che tuttora li seguono.

L’economia confida sul fatto di essere una scienza deduttiva, vale a dire che le nuove conoscenze vengono dedotte direttamente e logicamente da premesse ed ipotesi autoevidenti. Friedman sosteneva che non importa se le ipotesi sono sbagliate finché è possibile ricavarne regole generali che consentano di fare previsioni sufficientemente affidabili e abbastanza vicine alla verità. Egli si riferiva ad una teoria economica che mira ad essere una scienza naturale, in cui l’esattezza sia nel contempo fondamentale e possibile.
In economia, però, dobbiamo imparare che la precisione non è né possibile né fondamentale.

Al fine di disporre di una scienza positiva e rigorosa, in grado di fornire previsioni precise, si dovrebbe disporre della comprensione (nel senso weberiano del termine – verstehen) e basarsi esclusivamente sui freddi dati. Non è possibile fare previsioni senza che l’oggetto di studio sia perfettamente osservabile e chiaramente definibile. Ma cosa avviene se si applica questo metodo all’azione umana, che è il cuore di quanto viene studiato in economia? Sono le cause, la natura e le conseguenze delle azioni umane perfettamente osservabili e chiaramente definibili? Come si fa a misurare la causa delle azioni di un individuo? La sua scelta di agire? L’azione stessa? Le sue conseguenze?

Quest’ultima si avvicina alla prima, ma non possiede neanche lontanamente le proprietà degli oggetti studiati nel campo delle scienze naturali. Mescolando x grammi di A con y grammi di B creeremo sempre la sostanza C, ed esponendo D ad E o F si può sempre dimostrare esattamente che otterremo Z – ma sottoporre ad M un individuo non significa necessariamente che otterremo lo stesso effetto come se sottoponessimo ad M un altro. Le persone, semplicemente, non rispondono sempre ciecamente allo stesso modo alle influenze esogene, c’è tutta una serie di altre cose che sono importanti almeno tanto quanto lo sono alcune influenze. Alcuni lo chiamano “libero arbitrio”, ma non è necessario arrivare alla metafisica o alla meditazione religiosa per rendersi conto che le persone non sono né pietre né (semplici) animali.

Il problema della previsione economica è proprio l’ipotesi basilare che si possa “facilmente” predire il risultato dell’azione di numerose persone innestandovi delle variabili che influenzano le scelte di alcune persone. Non si tratta semplicemente del caso che diversi individui scelgono di agire allo stesso modo, quando esposti a (o influenzati da) gli stessi stimoli. I nostri corpi possono – possono – reagire allo stesso modo, ma non le nostre menti.

A questo alcuni potrebbero replicare: grazie alla legge dei grandi numeri, malgrado gli individui non siano tutti uguali, è possibile approssimare il risultato delle nostre conclusioni. Quando la legge dei grandi numeri è applicabile, si può tranquillamente supporre che, se disponiamo di un campione sufficientemente ampio, anche i dati asimmetrici o potenzialmente non rappresentativi verranno fuori e scopriremo così la Verità sugli esseri umani. Ma questo non cambia il problema pratico, ovvero il fatto che stiamo ancora approssimando, solo con una maggiore quantità di dati ed individui.

Anche se si accetta la legge dei grandi numeri come motivo sufficiente per confidare sulle statistiche al fine di comprendere le persone, dobbiamo affrontare il problema del loro non essere uguali. Quelle persone che, essendo limitatamente razionali, preferiranno sempre il più al meno (conseguenza diretta della definizione scegliere) non indicano che si sceglie un risultato particolare rispetto ad un altro in ogni situazione. Ogni persona potrà effettuare una valutazione soggettiva delle proprie preferenze stabilendo un ordine di priorità, quindi fare una scelta sulla base di ciò che egli conosce in merito a tale ordine (questo è il processo decisionale, sia che esso venga effettuato riflessivamente e consapevolmente oppure no). Tuttavia, tale scala di priorità potrebbe variare a seconda delle circostanze, nonché in base a ciò che l’individuo nel frattempo ha appreso.

Fare pronostici perfetti alla maniera proposta da Friedman significa dover sottrarre le peculiarità dell’essere umano ad ogni individuo, al limite l’individuo stesso, allo scopo di fare calcoli precisi. Che cosa abbiamo da imparare, sapendo che persone senza personalità e senza “profondità interiore” (ciò che alcuni chiamano anima) dovrebbero necessariamente agire in base alle nostre previsioni? Probabilmente non molto.

Inoltre, le previsioni si basano sull’estrapolazione che va ben al di là di quanto possa considerarsi ragionevole. Stabilire la valutazione dei rischi quotidiani di una persona ed i costi di cui essa è disposta a farsi carico per evitare tali rischi, e di tradurli in un importo monetario, non necessariamente ci fornirà la conoscenza univoca delle scelte preferite da un individuo. Non ne consegue, insomma, che accetterebbe l’elevato rischio di perdere la vita, se fosse stato pagato un multiplo del costo che era disposto ad assumersi per rischi più piccoli.

Previsioni di questo tipo sono banalmente impossibili. Allora, a cosa servono gli economisti?

La risposta a questa domanda è che non abbiamo bisogno della maggior parte degli economisti, ma, al tempo stesso, che abbiamo bisogno più che mai di economisti. Il motivo di questa affermazione è che l’esatta previsione degli economisti circa il risultato delle scelte di centinaia o migliaia (o milioni o miliardi) di individui simultaneamente, è priva di valore, la loro metodologia è profondamente sbagliata ed essi non sono nient’altro che impostori che dovrebbero essere trattati come tali.

Ma, mentre pensiamo a cosa farne delle previsioni degli economisti, abbiamo anche bisogno di trovare veri economisti capaci di capire il mercato e di spiegare alle persone come esso funziona e ciò di cui abbisogna affinché possa funzionare nel migliore dei modi. Sono veramente pochi gli economisti che capiscono cos’è il mercato, come emerge l’ordine spontaneo, come sussiste e cosa produce. Questi economisti erano in grado di prevedere molto tempo fa che ci stavamo dirigendo verso il disastro, e in effetti lo hanno fatto. Hanno anche pubblicato i loro moniti, ma nessuno si è preso la briga di starli a sentire. E con “nessuno” qui si intendono gli economisti previdenti e l’élite politica che generalmente li assume.

Gli economisti devono fare ciò che le imprese hanno fatto molto tempo fa: tornare alle basi. Non c’è bisogno di eserciti di economisti che tentano di prevedere con esattezza i risultati delle politiche pubbliche, della variazione dei tassi di interesse, o delle politiche monetaria. Il ruolo degli economisti previdenti non è quello di conoscere il futuro o la politica, ma, come “utili idioti”, di mascherare tentativi ciechi, naive ed ignoranti di condizionare le scelte delle persone attribuendo al controllo della società una parvenza di scientificità. E fungono ottimamente anche come capri espiatori quando le loro previsioni si rivelano sbagliate e dinanzi alle persone coinvolte nei loro calcoli, possono nascondersi dietro al paravento delle loro “buone intenzioni”.

Ciò di cui abbiamo bisogno è di economisti reali che non si impegnano nel futile tentativo di fare previsioni “scientificamente” esatte circa le scelte future delle persone. Abbiamo bisogno di persone che ci dicano come funziona il mercato, in modo da poter cogliere pienamente i frutti del nostro duro lavoro e di trarre profitto dai rischi che ci assumiamo.

Libertà di gestione

Come sempre un ottimo articolo di Michael S. Rozeff, preso dal come sempre ottimo Panarchy.org che, informo, è tornato finalmente online.

Nota: Nel corso di questo scritto Michael Rozeff ripete in vari modi lo stesso messaggio: libertà di gestione. Il fatto che una richiesta così semplice e ragionevole (già contenuta nella dichiarazione di Indipendenza Americana: “il governo … che deriva il suo potere legittimo dal consenso dei governati”) debba essere reiterata in maniera così insistente rende perplessi in che pazzo mondo noi viviamo attualmente. Allora è sufficiente ricordarsi il famoso slogan: la Guerra è Pace, la Libertà è Schiavitù, l’Ignoranza è Forza, e capiamo immediatamente che siamo ancora nello stato di Oceania, in conflitto permanente con lo stato di Estasia e lo stato di Eurasia.
Ecco perché testi come quello che qui si presenta sono necessari, in modo da accelerare il momento in cui il Grande Fratello (lo stato territoriale monopolistico) scomparirà dalla faccia della terra e con esso avrà termine un incubo mostruoso.

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Che cosa è un governo? È uno strumento organizzativo attraverso il quale gli individui sperano di dare ordine a talune loro interazioni. Il governo è la struttura e l’insieme dei mezzi attraverso cui le persone si gestiscono. La gestione, o regolamentazione di certe interazioni, è il bene essenziale a cui mira la gente quando istituisce un governo.

La libertà nelle scelte gestionali ha le sue radici nella libertà di un essere umano di decidere il corso della sua vita. Io considero la libertà di gestione come un bene in sé stesso e come un qualcosa di strumentalmente buono sia per le persone che per i gruppi. L’idea di base della panarchia in relazione al governo è che una persona esprima il suo consenso su tutti gi aspetti gestionali che lo riguardano. L’ideale della panarchia è l’avere il tipo di gestione che ciascuno si è scelto. La libertà nella scelta della struttura di gestione è il fondamento della panarchia, il che è l’opposto della tirannia, cioè l’essere forzati a vivere sotto un governo scelto da altri.

Le idee sulla costrizione variano da persona a persona. Esiste la possibilità di una vasta serie di modi di gestione, e la storia mostra un certo numero di realizzazioni diverse. Quello che una persona considera come un obbligo potrebbe essere visto da un altro come un fattore di libertà. La panarchia accetta una varietà di differenti forme di gestione esistenti l’una accanto all’altra.

Quando una persona formula affermazioni riguardo alla natura della struttura governativa o come debba essere costituita, quella persona sta esprimendo un parere del tutto personale rispetto al quale altri potrebbero pensarla diversamente. Se John Adams dicesse che abbiamo bisogno di una costituzione e ne redigesse una per il Massachusetts, o sostenesse che dovrebbe essere approvata a maggioranza, o che dovrebbe garantire determinati diritti, o che dovrebbe valere in perpetuità, o che un particolare gruppo di persone dovrebbe votare al riguardo, e così via, ciò significherebbe che egli sta limitando i possibili schemi organizzativi e anche la loro evoluzione nel tempo. Così facendo egli sta decidendo a priori chi sono le persone di rilievo che faranno parte del gruppo che prenderà le decisioni e persino che peso avranno i loro voti. Ciò è contrario alla panarchia.

Il panarchico non cerca di imporre una forma di governo agli altri, sebbene egli possa di certo sostenere che alcune forme sono preferibili ad altre, non solo per sé stesso ma anche per altri. Io mi definisco un anarchico (come pure un panarchico) perché la mie preferenza personale è per nessun-governo-come-lo-conosciamo-attualmente. Ciò che io voglio è la libera gestione. Io penso che non si possa fare a meno della gestione organizzativa in tutti i casi in cui le persone vivono assieme. La forma della gestione, a mio avviso, dovrebbe essere talmente decentralizzata e aperta alla scelta personale che molto difficilmente si potrebbe qualificare col nome di governo. Le mie opinioni anarchiche non coincidono con la mia posizione panarchica. La concezione panarchica svolge una funzione più elevata in quanto è una teoria sociale generale. Logicamente essa precede la scelta di una particolare forma di gestione.

Parlando da anarchico, ho criticato frequentemente il governo-come-lo-conosciamo-attualmente. E continuo a criticarlo. In questo sono come uno che vuole la libertà e cerca di persuadere altri a volerla. Ma desidero distinguere chiaramente le mie preferenze rispetto a coloro che sono favorevoli all’attuale forma di governo. Il fatto di essere obbligato a vivere sotto un potere che mi domina, mi porta a non considerarlo affatto come un governo. Io non ho alcuna intenzione di farmi manipolare dalle parole. Per cui quello che al giorno d’oggi si chiama “governo” io non lo nobilito con l’uso di tale termine in quanto si tratta di una tirannia. Sono le persone consapevoli di vivere sotto una tirannia che sono impedite dallo scegliere la loro forma di governo. Per esse, il “governo” non è affatto un governo: è una frusta, una catena, una prigione. È un potere che li deruba della loro umanità. Io definisco governo solamente quello che è reso legittimo dal consenso dei governati. Essere “governato” da una banda di delinquenti o da un dittatore o da un tiranno, senza il consenso personale, non ha nulla in comune con un governo legittimo. È una contraddizione terminologica affermare si è governati da un tiranno. Una persona non è governata da un tiranno, è comandata. Certi affari sociali possono essere gestiti da una organizzazione senza essere dominati da un potere sovrano. Essere controllati dalla forza bruta non è lo stesso che essere gestiti da una forma legittima di governo. Nel primo caso si tratta di un affare criminale, nell’altro di un sistema pacifico basato sul consenso. Fare confusione tra questi due tipi di relazioni ottunde il senso morale e pone sullo stesso piano aspetti del tutto distinti. Questo modo di pensare lo abbiamo ereditato da Aristotele e lo abbiamo perpetuato fino ai giorni nostri. È tempo di seppellirlo.

In che cosa la panarchia si differenzia dall’anarco-capitalismo? Dal momento che l’anarco-capitalismo è una forma di anarchismo, esso esprime una preferenza personale per una particolare forma di gestione e di governo. Sarebbe una digressione e un compito troppo grandi discutere che cosa sia l’anarco-capitalismo. Per convenienza, utilizzo una citazione da Wikipedia: “L’anarco-capitalismo (conosciuto anche come anarchia del libero mercato) è una filosofia politica individualista e anarchica che si prefigge l’eliminazione dello stato e la promozione dell’individuo sovrano nell’ambito di un mercato libero.”

Se lo stato fosse solo una tirannia, come credo lo vedano e lo qualifichino alcuni sostenitori di rilievo dell’anarco-capitalismo, allora ci sarebbe, a questo riguardo, concordanza di vedute tra la panarchia e l’anarco-capitalismo. Ma, lo stato non è solo tirannia. Molte persone sono a favore dello stato. Molti votano a sostegno dello stato e dei suoi programmi. Esiste un certo ammontare di consenso e di appoggio per lo stato e per quello che esso fa. Esiste una domanda di vari tipi di stato, come appare chiaro da una ricognizione geografia e storica. La varietà stessa degli stati indica una serie diversa di richieste. Osserviamo questa varietà di richieste nel fatto che alcuni di coloro che sono insoddisfatti degli attuali governi mastodontici vorrebbero ritornare ai governi più snelli del passato. Prefiggersi l’eliminazione dello stato, come indicato dalla citazione precedente sull’anarco-capitalismo, equivale a sostenere l’imposizione su altri delle proprie preferenze riguardo alla forma di gestione. Non tutti vogliono il libero mercato applicato a qualsiasi transazione o l’eliminazione totale dello stato. Un panarchico non ha come obiettivo l’eliminazione dello stato come sua preoccupazione generale, anche se come anarchico quella rappresenta la sua preferenza personale o anche se egli cerca di persuadere altri a preferire di vivere con uno stato notevolmente ridotto o addirittura senza alcun apparato statale.

Il panarchico non si propone di rendere qualsiasi individuo sovrano nell’ambito di un libero mercato. Personalmente uno potrebbe volere una società con relazioni sociali di un certo tipo, come potrei volere anche io, ma un panarchico non si prefigge che i cambiamenti coinvolgano anche altri, ma solo lui assieme ad altri che hanno gli stessi suoi desideri.

La finalità del panarchico è la libertà di gestione.

Fin qui non ho mai menzionato la parola territorio. È implicito nell’idea della panarchia che i confini territoriali che sono stati eretti dagli uomini, in maniera più o meno arbitraria o con la forza delle armi o con altri simili mezzi e non in maniera legittima quale potrebbe essere l’avere coltivato un pezzo di terra, non possono costituire una base per raggruppare assieme le persone contro la loro volontà o senza il loro consenso. In realtà, non si può imporre dall’esterno un criterio arbitrario e conservare al tempo stesso la libertà di gestione. Il territorio costituisce un esempio di simili criteri ma ce ne sono altri quali la tribù, il colore della pelle, la religione, l’etnia, la classe, la densità di popolazione, l’età, il sesso e così via.

L’anarco-capitalista che si prefigge la scomparsa dello stato assume implicitamente che tutte le persone che vivono in un dato territorio che lo stato ha proclamato come suo formino un popolo che dovrebbe essere liberato dalla presenza dello stato e di tutti i suoi interventi e programmi. Il libertario che vuole la libertà nell’uso delle droghe si immagina implicitamente una giurisdizione territoriale dove godere di questa libertà. L’esperto di problemi monetari che propone l’introduzione del gold standard dà implicitamente per scontata l’esistenza di un territorio in cui esso è operativo. Allo stesso modo, quando John Adams propone una costituzione per il Massachusetts, egli ha in mente tutte le persone che vivono all’interno di un determinato confine. In tutti questi casi e in altri ancora, il difensore della libertà sta introducendo le sue personali preferenze. Questa persona sta in realtà indicando come vorrebbe vivere e come pensa che altri dovrebbero vivere, e le sue preferenze sono definite con il termine libertà. Com’è naturale, questo approccio è rifiutato da coloro che vogliono che siano in vigore alcuni aspetti dello stato. Ci sono quelli che vogliono che le droghe siano vietate o che l’aborto sia vietato o che il governo assicuri l’assistenza sociale. Dal loro punto di vista la “libertà” sostenuta da un libertario o da un anarchico costituisce una imposizione. Essa minaccia lo stile di vita da loro preferito.

Cercando di conseguire la libertà per tutti, il libertario o anarchico ne diventa il nemico peggiore. Egli allontana tutti coloro che si sentono minacciati da alcuni aspetti del suo programma di libertà che essi non approvano. Per di più, l’anarchico libertario discute continuamente con altri libertari e anarchici sul 25 per cento di questioni su cui non vi è accordo.

Il panarchico, sostenendo la libertà di gestione, implicitamente non basa la gestione che riguarda gli altri su nulla che abbia a che fare con il territorio, con la religione, con l’etnia o con altri criteri simili. Coloro che danno vita alla loro forma di gestione potrebbero scegliere uno di questi criteri per sé stessi, ma l’idea panarchica non li include tra i suoi presupposti.

Se coloro che sono a favore della libertà conseguiranno successi significativi nel conseguimento di un grado di libertà più elevato, essi non possono lasciare che le loro preferenze personali riguardo ad una esistenza libera li portino a ignorare che la panarchia è la sola idea logica che è in sintonia con qualsiasi tipo e colore di preferenze personali.

Non ci sarà mai un movimento capace di lottare con successo per la libertà se non quando ci sarà un accordo comune su un ideale singolo di alto livello; l’essere divisi equivale all’essere sconfitti. La libertà di gestione è tale ideale. Il tema unificatore deve avere a che fare con il significato della libertà. I libertari, gli anarchici e i panarchici non possono conseguire il successo se non si uniscono sotto uno striscione o una richiesta comune che è, a mio avviso: Libertà di Gestione. Ciò significa libertà di formare un gruppo o di associarsi dappertutto sulla terra, incluso il fatto di disperdersi sulla superficie terrestre; significa inoltre che all’interno di quel gruppo esiste il consenso volontario dei governati al tipo di gestione prescelto.

Ci sono parecchi libertari in America, forse la maggioranza, che vogliono cambiare la costituzione o ritornare alla sua natura originaria o altre cose simili, oppure che vogliono cambiare la legge sotto la quale noi viviamo. Nel perseguire tali cambiamenti, danno per scontato che miglioreranno la condizione degli altri dando loro la libertà. A quel punto però si scontrano con una enorme resistenza, per il fatto che esiste una pluralità notevole di preferenze personali che non possono essere risolte sotto nessuna forma di governo, inclusa la forma libertaria che vuole portare a tutti la sua versione di libertà. L’insieme di questo sforzo tende a realizzare i nostri destini collettivi all’interno di un unico schema di gestione uguale per tutti. La qual cosa può essere solamente tirannica in quanto molti si oppongono a quello schema e rifiutano di dare il loro assenso.

Se la strategia per conseguire la libertà fosse mirata al raggiungimento di un fine generale di livello superiore – la libertà di gestione – queste difficoltà si scioglierebbero come neve al sole. Se tutti coloro che cercano la libertà facessero chiarezza sul fatto che essi vogliono solo governare sé stessi in maniera volontaria, essi sarebbero più prossimi alla concezione espressa dai coloni americani quando si separarono dalla Gran Bretagna. In tal modo coloro che vogliono la libertà si unirebbero e avrebbero una probabilità di successo di gran lunga maggiore nello sviluppo della libertà. Essi non costituirebbero più una minaccia per lo stile di vita degli altri, e la resistenza da parte di questi non avrebbe più senso e ragione di esistere. Essi si porrebbero inoltre su un piano morale più elevato; infatti chi potrebbe validamente criticare qualcuno che vuole per sé la libertà di gestione? Chi potrebbe muovere obiezioni al fatto che il governo dovrebbe avere il consenso dei governati? Se questi principi sono accettati, allora le sole riserve e critiche riguardano la pratica. Le persone si domandano come tutto ciò potrebbe essere realizzato. Come funzionerebbe in realtà. Questi problemi possono essere sempre risolti un volta che si è d’accordo sulla questione di principio, che è l’aspetto più importante. E il principio è il seguente: Libertà di gestione. Libertà nella scelta di chi gestisce senza introdurre restrizioni territoriali o qualsiasi altro criterio imposto, e promuovendo la libertà delle persone di associarsi in gruppi, o di rimanere separati, il tutto sulla base di libere scelte personali.

Tempo fa mi ero appuntato questa citazione, senza però scrivere chi ne fosse l’autore. Dovrebbe essere Thoreau, ma la memoria a volte mi inganna.
Poco importa, la dedico ugualmente a tutti coloro che si oppongono alla guerra e contemporaneamente sostengono sia un imperativo civico e morale pagare le tasse.

In realtà, non è compito di un individuo consacrarsi alla eliminazione dei mali, anche se questi fossero enormi; egli può giustamente avere altre faccende che lo impegnano; ma è suo dovere, almeno, avere le mani pulite a questo riguardo, e oltre a sgomberare la mente da tali ingiustizie, ritirare anche il suo appoggio concreto a che esse vengano commesse. Se mi dedico ad altre occupazioni e contemplazioni, devo prima almeno accertarmi che non le perseguo stando seduto sul groppone di un’altra persona. Prima di tutto devo togliere il mio peso dal suo corpo, in modo che egli possa parimenti dedicarsi alle sue contemplazioni. State a sentire quale grossolana incoerenza è tollerata. Ho udito alcuni dei miei concittadini affermare: “Vorrei proprio vedere se mi ordinano di sopprimere una rivolta di schiavi, o di marciare contro il Messico – figuratevi se io ci vado”; eppure, proprio queste persone hanno fornito, ognuna di loro, un sostituto, direttamente attraverso l’obbedienza allo stato, e quanto meno indirettamente, con il pagamento delle tasse. Si applaude il soldato che si rifiuta di servire in una guerra ingiusta da coloro che non si rifiutano di sostenere il governo ingiusto che fa la guerra; il soldato che si ribella è lodato da coloro la cui azione e autorità egli disattende e ignora; come se lo Stato si pentisse talmente da incaricare qualcuno che lo fustigasse quando ha peccato, ma non fino al punto di smettere per un solo istante di commettere malefatte. Così, in nome dell’Ordine e del Governo Civile, noi tutti siamo alla fine obbligati a rendere omaggio e a sostenere la nostra propria meschinità. Dopo il primo rossore per il peccato, segue l’indifferenza per quanto si è commesso; e dall’essere immorale il comportamento diventa come al di fuori della morale, e non del tutto stonato rispetto alla vita e a come l’abbiamo organizzata.

Alongside Night

Immagine 1Compie trent’anni la sci-fi novel che per prima ha delineato i contorni della società agorista.
L’autore, per l’occasione, ha deciso di consentirne il download gratuito.

Iconoclastia

dc0f4c5433297813c873fa6fe58917d9da0d1b0c_mHo aperto ICONOCLASTIA – Il ributtante mondo delle immagini, un nuovo blog che userò come image bookmarking libertario.
Ho già postato un po’ di roba, ma in questi ultimi tempi ne ho archiviata anche di più succosa. 😉

Stay tuned!

Se non siete utenti abituali di giacca e cravatta, ma, causa di forza maggiore, siete costretti ad indossarle senza avere la più pallida idea di come abbinarle per apparire almeno decenti, osservate attentamente Alberto Mingardi.

E fate l’esatto il contrario.